giovedì 2 agosto 2012

Sleepwalk in Rome.

Ho camminato, stamattina. Ho preso i miei passi e li ho messi uno dietro l’altro. Camminavo Milano con Roma negli occhi, camminavo rincorrendo sensazioni, camminavo rivedendo momenti spensierati e meravigliosi. Me li sono vista passare davanti tutti, quei momenti, con la sottile malinconia che ti prende lo stomaco fino a raggiungere la gola, qualche battito prima delle lacrime; la sottile malinconia del ricordo delle cose belle e pulite, quelle che vorresti durassero per sempre, o che almeno vorresti riuscire a non dimenticare mai. Pochi momenti sono stati così leggeri, e quei tre giorni romani li metterò nel cassetto delle sensazioni più vicine alla felicità che io abbia mai provato, con la consapevolezza che in quei tre giorni di contentezza, la felicità l’ho sfiorata per davvero. Le sensazioni racchiuse in quel cassetto riesco a riviverle come fossero ancora reali, tanto che a distanza di anni, se ci ripenso, sento ancora il freddo ai piedi della prima sensazione che ho infilato in quel cassetto. E voglio che per questi tre giorni sia lo stesso, e che a distanza di anni, ripensandoci, io riesca ancora a sentire il calore del sole che mi brucia la pelle, o la stanchezza nelle gambe per le infinite camminate, o l’odore di quelle notti vissute come giorni. E vorrei non dimenticare mai la meraviglia degli occhi, quelli che sgranavo ad ogni nuova via che imboccavo, ad ogni ponte sul Tevere che attraversavo, ad ogni incredibile monumento che guardavo, senza parole di fronte a tanta bellezza. E vorrei non dimenticare le risate da farti male alla pancia, quelle che se ci ripensi ridi ancora, quelle che non credo di aver mai riso così tanto in così poco tempo, e i sorrisi di chi nonostante la stanchezza ti fa compagnia fino all’alba, e che poi ti offre pure la colazione, e che guida per chilometri per portarti dove nemmeno ha voglia di andare, e gli occhi un po’ tristi di chi avrebbe tanto voluto andare a dormire, ma che poi era contento di essere lì, e che a parole non te lo sa dire, ma che poi fotografa e allora non c’è bisogno di dire più niente.
Lascio Roma, ma non la lascerò mai davvero. Lascio Roma e mi porto via tutto. Ogni colore, ogni strada che ho percorso, ogni profumo che mi è entrato nelle narici e che non so dimenticare, ogni filo d’erba su cui mi sono sdraiata a riposare; voglio portare con me ogni centimetro che ho percorso, ogni squarcio di cielo in cui ho lasciato correre lo sguardo, ognuna delle meraviglie che ho visto e che vorrei poter tornare ad ammirare, ognuna delle sensazioni che mi hanno tolto il fiato. Come guardare Roma svegliarsi, in piedi su un muretto, quando tu ancora non sei andato a dormire, come passeggiare lungo il Tevere a tarda sera e vedere com’è, quando tutto è illuminato, come fermarsi a giocare a calcetto a un‘ora imprecisata della notte, come la briscola seduti per terra alle quattro del mattino, come rendersi conto che non avrebbe senso andare a dormire e allora continuare a ridere fino all’alba, come partire dalla città e arrivare al mare, come il senso che ognuno di noi ha dato a quella fiammella, come capire che in qualche modo si può avere vent’anni per sempre.

Come aver dato la forma dei ricordi alla mia canzone preferita.