martedì 31 luglio 2012

Lettere salentine.

Non tutti i viaggi portano a un luogo. E non è certo per vedere posti nuovi, che sono partita. Andare e tornare: andare a cercarmi, tornare a prenderti. Era questo lo scopo del viaggio. Partire e tornare con nuovi occhi. Nuovi occhi per guardare i tuoi, sempre gli stessi, sempre bellissimi. Quelli che ogni notte mi tolgono il sonno. Dovresti rendermele in giorni, tutte queste notti. E dovresti anche stare attento, con quegli occhi, che non sai per quanto tempo me li porterò dietro, cercando ovunque un colore uguale, già sapendo in partenza che non potrà mai esistere nulla di simile. Ma tutto sommato poteva andare peggio: potevo non incontrarti. Sarà che non riesco a smetterla mai con “le cose che volevo fare”, anche se il passato è passato e per quanto io mi sforzi non ci potrò più vivere dentro. Sarà che continuo a tenerti stretto tra quegli spazi che ho tenuto vuoti solo per te, sarà che nonostante tutto torni sempre a riempirli, ma mai completamente. Sarà che mi ero immaginata un’esistenza libera, senza contare che tu ne avresti fatto comunque parte, sempre, perché non potrei immaginare libertà più grande del poter dividere con te ognuno dei giorni che ci saranno concessi.
E vorrei che tu fossi la mia venticinquesima ora. Vorrei che tu fossi quel tempo in più libero da costringimenti, quel tempo ideale in cui fare tutto ciò che durante il giorno non ci possiamo permettere, quel tempo sempre privo di impegni, quel tempo che possiamo riempire con ciò che vogliamo, quel tempo fuori dal tempo che non farei altro che dedicarti. Nella mia venticinquesima ora verrei a cercarti ogni giorno, ti prenderei la mano e ti farei vedere tutte le cose bellissime che in questo e in altri viaggi mi è capitato di incontrare. E ne scopriremmo di nuove, lungo la strada. Come il guardarci negli occhi senza muovere un muscolo, solo per il piacere di immaginare quanto meraviglioso sarebbe riuscire a toccarsi davvero. E dopo la venticinquesima ora potresti diventare il trentaduesimo giorno prima della fine del mese, e la cinquantatreesima settimana prima del nuovo anno. E poi tutto il resto del tempo. E potremo essere felici, nella nostra venticinquesima ora, e quella venticinquesima ora sarà un tempo nostro soltanto, quella parentesi dalla crudeltà del mondo che riusciremo sempre a prenderci, per non perderci.
Ma voglio tornare e raccontarti tutto adesso. Voglio tornare e provare con te ognuna delle sensazioni che ci siamo persi per strada. Voglio tornare e guardarti negli occhi e stupirmi di quanto siano ancora più belli che nel sogno. Voglio tornare e dirti che ho guardato il cielo ogni notte pensando che era lo stesso che proteggeva te. Voglio tornare e dirti che quel temporale non l’ho guardato da sola, e che mi sono ammalata sotto la pioggia della tua troppa assenza. Voglio tornare e raccontarti della malinconia che mi attanagliava lo stomaco per il troppo pensarti e il troppo non vederti, per il troppo cercarti e il troppo non riuscire a trovarti mai.
E ti racconterò di come io mi sia svegliata ogni mattina con i tuoi occhi accanto, e di come ogni sera io mi sia addormentata chiedendomi se i tuoi fossero già chiusi. E ti racconterò delle notti, sempre insonni, e di quei battiti che facevano così rumore che mi pareva ci fossero anche un po’ dei tuoi insieme. E ti racconterò ogni onda e ogni granello di sabbia che mi sono rimasti addosso nelle lunghe passeggiate che ho fatto immaginando ci fossi tu a guidarmi lungo il cammino. E ti racconterò di tutte le conchiglie il cui suono ho portato all’orecchio, sperando avesse almeno un po’ del ricordo della tua voce. E ti racconterò che il caffè aveva un sapore diverso ognuno dei giorni in cui sono stata lontana, e che faticavo a mandarlo giù perché sapeva della tua mancanza, lo stesso che ha ognuno dei giorni in cui non posso scorgerti con la coda dell’occhio. E ti racconterò, per ognuno degli orizzonti in cui il mio sguardo si è perduto, quanto io abbia sperato di vederti camminare tra l’erba alta, con il sole sul viso. E infine ti racconterò di quanto mi faccia sorridere anche il solo immaginare di poterti dire sul serio queste ed altre cose bellissime.
Ma tu promettimi di non parlare e di venire in silenzio a riempire quella stanza immaginaria che ho arredato solo per te; promettimi che avremo così tanto tempo da annoiarci, e promettimi anche che lo sapremo riempire tutto; promettimi che non dovremo chiedere nulla perché sapremo bastarci. Promettimi che ci sarà sempre il sole nei nostri occhi anche se fuori piove, che saremo sempre caldi del nostro tepore anche in mezzo alla neve, che sapremo sorriderci anche tra le tempeste che ci troveremo ad affrontare.

Promettimi questo e avrai tutto il resto del mio tempo. Non promettermelo, e lo avrai comunque. 

giovedì 5 luglio 2012

Avevo solo bisogno di piangere. E di una spalla su cui farlo.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui non ho versato una lacrima, e invece era proprio il caso di farlo, che a tenerle dentro le cose poi ti si indurisce il cuore, e cominci a morire.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho cercato di chiedere aiuto rifiutandolo, per tutte le volte che puntualmente l’aiuto non è arrivato, per tutte le volte in cui mi sono data della stupida, che se magari lo dici, come stai, ecco magari l’aiuto poi arriva. Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui “tanto non ho bisogno di aiuto”, per tutte le volte in cui, proprio per questo motivo, mi sono trovata a un passo dal baratro.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui un modo per stare meglio mi era anche venuto in mente, ma che poi mi è mancato il coraggio, perché sì, a me anche la sola idea di poter stare bene fa paura, perché non mi ricordo più come ci si comporta, quando tutto va per il verso giusto.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui sì, ho ammesso che il mio stato d’animo preferito è la malinconia, ma ho poi omesso di dire che vorrei una mano che stringe la mia nel mentre.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho perso tempo a pensare, invece di agire.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho detto un “no” che era un “sì” solo per trasmettere che in realtà la risposta giusta era un “forse”, e che dipendeva da chi mi aveva posto la domanda.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho sbagliato e lo sapevo, ma avevo pronta una scusa, o un colpevole.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho detto che sarei voluta rimanere su quella spiaggia a fare surf, e poi invece non ci sono più tornata. E per quel ragazzo che è ancora lì.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui sarei potuta andare in Germania, e per tutte le volte in cui ci sono andata ma poi sono ripartita.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui non mi sono fermata un momento a pensare che volendo ce l’avrei anche potuta fare, e per tutte le volte in cui mi sono fermata, l’ho pensato, e poi non l’ho fatto lo stesso.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho risposto con un grugnito a delle parole di affetto, per tutte le volte in cui poi mi sono stupita che quelle parole non arrivassero più.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho cercato di far capire che non è che io l'affetto non lo provo, solo lo dimostro in modo diverso. Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui l'affetto proprio non l'ho dimostrato.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui non gliel’ho detto, che le nostre chiacchierate sono la cosa migliore delle mie giornate, e per tutte le volte in cui gli ho risposto male, sperando lo capisse. E se te lo stai chiedendo sì, sto parlando di te.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui sono stata triste al momento del saluto e non l’ho detto, neanche dopo, neanche quando era evidente. Neanche quando fingevo non me ne importasse nulla. E beh, era tutto il contrario.

Un pianto ininterrotto per quella volta in cui sono stata felice, l’ultima, quella che ci sto ripensando e ancora sorrido. Quanto sono state belle quelle ore, che sono la mia speranza, di certo non ve lo dirò, e per questo un altro pianto ininterrotto.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho pensato di dirgliele, certe cose, ma poi non l’ho fatto, salvo poi passare notti insonni a tormentarmi. E poi ci chiediamo ancora perché quella panchina sia vuota, adesso.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho deciso di non decidere, sempre troppe. Che come qualcuno mi ha detto, anche non decidere è prendere una decisione.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui ho pensato che fosse troppo tardi, e invece non lo era affatto. Proprio come adesso. Per tutte le volte in cui lo stesso rimango ferma.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui rileggerò queste righe, e non sarà cambiato ancora niente.

Un pianto ininterrotto per tutte le volte in cui non avrò ancora pianto.